Hito Steyerl
Universal Embassy, 2004
N°8
Oggetto del racconto di Universal Embassy è l’ex ambasciata somala a Bruxelles, occupata dai sans-papiers (richiedenti asilo senza documenti). A seguito del crollo del governo somalo, l’edificio dell’ambasciata, come una sorta di residuo di uno stato scomparso, è stato reclamato dagli attivisti che lo hanno trasformato in un luogo da abitare, al di là dei confini nazionali convenzionali. Il documentario ritrae la vita di coloro che, non avendo i permessi di soggiorno, trovano rifugio in questa “terra di nessuno”. Steyerl segue le loro lotte quotidiane e le sfide che affrontano in un mondo in cui sono virtualmente invisibili ai sistemi ufficiali.
In pochi minuti il film testimonia la trasformazione dell’ambasciata, un tempo simbolo di sovranità nazionale, in un microcosmo dell’apolidia e delle complessità ad essa associate, mettendo in questione i concetti di immigrazione, asilo, resilienza e identità nazionale. Steyerl invita a riflettere sul costo umano dell’instabilità politica e sulla difficile situazione di coloro che si trovano in mezzo a fuochi incrociati di vari conflitti geopolitici, evidenziando anche gli sforzi degli attivisti nel portare l’attenzione su chi si trova a essere dimenticato e marginalizzato.
Universal Embassy è un toccante promemoria delle lotte portate avanti dagli apolidi di tutto il mondo, che spinge gli spettatori a interrogarsi sul significato della cittadinanza e sulla natura arbitraria delle frontiere in un mondo globalizzato, focalizzandosi sull’importanza dell’empatia.
*Grazie: Mohamed Benzaouia, Tristan Wibault. In memoria di Kobe Mattys.
Hito Steyerl (Monaco di Baviera, Germania, 1966) è un’artista di fama internazionale. La sua formazione, che spazia tra cinema e arti visive (presso l’Accademia delle Arti Visive di Tokyo con il regista Nagisa Oshima, e presso l’Universität für angewandte Kunst Wien con Harun Farocki), si riflette nella complessità del suo apparato teorico, che impiega film, saggi e conferenze per esplorare temi cruciali come la pervasività dei media e la circolazione delle immagini nell’era digitale, l’uso delle tecnologie militari, i meccanismi di videosorveglianza e lo sviluppo delle intelligenze artificiali, nonché le diverse forme di sfruttamento all’interno del sistema dell’arte. Steyerl scrive su numerose riviste specializzate tra cui E-flux e insegna New Media Art alla Universität der Künste Berlin, dove ha fondato il Research Center for Proxy Politics insieme a Vera Tollmann e Boaz Levin. Il suo lavoro è stato esposto nei più importanti musei e istituzioni culturali del mondo.
Universal Embassy is a documentary short film by Hito Steyerl that delves into the compelling story of a former Somali embassy in Brussels, squatted by the sans-papiers (undocumented asylum seekers). Following the Somali government’s collapse, this embassy building, a remnant of a vanished state, was claimed by activists who established it as a place beyond conventional national boundaries. The documentary portrays the lives of those without residence permits, the sans papiers, who find refuge in this unique no-man’s-land. It explores their daily struggles and the challenges they face in a world where they are virtually invisible to the official systems. The embassy, once a symbol of national sovereignty, becomes a microcosm of statelessness and the complexities surrounding it.
The short film sheds light on broader issues of immigration, asylum, and the concept of national identity. It reflects on the human cost of political instability and the plight of those caught in the crossfire of geopolitical conflicts. The narrative underscores the resilience of the human spirit, as the sans-papiers strive to build a semblance of normalcy in extraordinary circumstances. The film also highlights the activists’ efforts to bring attention to the forgotten and marginalized, advocating for their rights and dignity.
Universal Embassyis a poignant reminder of the ongoing struggles faced by displaced people worldwide and the importance of empathy and action in addressing these challenges; it prompts viewers to question the meaning of citizenship and the arbitrary nature of borders in a globalized world.
*Thank you: Mohamed Benzaouia, Tristan Wibault. In memory of Kobe Mattys.
Anand Patwardhan (Mumbai, India, 1950) is a filmmaker and activist known for his socio-political, human rights-oriented films, dealing with crucial issues of life in India such as religious fundamentalism and casteism in India, nuclear nationalism and “unsustainable development”. Films such as Father, Son, and Holy War (1995), War and Peace (2002), Jai Bhim Comrade (2012), often banned by state channels, have become a subject of discussion on the topic of censorship. Patwardhan describes himself as a “non-serious human being forced by circumstances to make serious films”.