Disobedience Archive

(the zoetrope)

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Anand Patwardhan

Bombay, Our City (Hamara Sahar), 1985

75’ 16mm, Color/sound

N°7

Bombay, Our City(Hamara Sahar) è una rappresentazione inquietante e suggestiva della precarietà della vita di oltre quattro milioni di persone che popolano gli slum di Bombay, ovvero più della metà della popolazione della città stessa. Il documentario narra le soggettività della classe proletaria di Bombay – operai industriali, edili, domestici – che si trovano a vivere in situazioni di reale emarginazione. Privati dei servizi essenziali come la fornitura di acqua ed energia elettrica, molti abitanti delle baraccopoli devono anche fare i conti con la costante minaccia di sfratto, mentre le istituzioni promuovono anno dopo anno campagne di riqualificazione e di decoro urbano, che di fatto vanno a determinare la gentrificazione di queste aree.

Il film si articola come una dialettica tra due sguardi opposti riservati a queste zone: da un lato le interviste a urbanisti, geografi ed economisti e alla classe borghese di Bombay che hanno tutto l’interesse a smantellare queste aree, dall’altro, le voci e le canzoni della baraccopoli che descrivono i modi in cui, negli anni, agli abitanti sono stati negati diritti, identità e condizioni di vita stabili.

Bombay, Our City è un documentario sull’ingiustizia inflitta agli abitanti degli slum di Bombay, ed è un tentativo di comprendere i fattori responsabili di tali diseguaglianze in tutta l’India. È un’opera di protesta, un grido di dignità per i cittadini di tutti gli slum del mondo.

Anand Patwardhan (Mumbai, India, 1950) è un regista e attivista noto per i suoi film di stampo sociopolitico e orientati alla tutela dei diritti umani su temi cruciali della vita in India, quali l’ascesa del fondamentalismo religioso e del casteismo, il nazionalismo nucleare e lo sviluppo “insostenibile”. Film come Father, Son, and Holy War (1995), War and Peace (2002), Jai Bhim Comrade (2012), spesso vietati dai canali ufficiali, sono diventati oggetto di discussione sul tema della censura. Patwardhan si descrive come un “essere umano non serio costretto dalle circostanze a realizzare film seri”.

Bombay, Our City (Hamara Sahar) is a haunting and evocative portrayal of the precariousness of life of over four million inhabitants who populate the slums of Bombay, constituting more than half of the city’s population. It depicts the lives and stories of that workforce – industrial workers, construction workers, domestic workers – who live in situations of real marginalisation. Deprived of basic urban services like electricity, hygiene, and water, many slum dwellers also face the constant threat of eviction while institutions, year after year, promote campaigns for social embellishment, urban decorum, which actually lead to the gentrification of these areas.

The film is articulated as a dialogue between two opposite views of these areas: on the one hand, the interviews with urbanists, geographers and economists and the Bombay middle class who want to dismantle these areas, and on the other, the voices and songs from the slums describing the ways in which, over the years, rights, identity, and stable living conditions have been denied.

Bombay, Our City is a documentary about the injustice inflicted on the slum dwellers of Bombay, and an attempt to understand the factors responsible for such inequalities throughout India. It is a work of protest, an accusation against all situations of injustice and misery, a cry for dignity for slum dwellers all over the world.

Anand Patwardhan (Mumbai, India, 1950) is a filmmaker and activist known for his socio-political, human rights-oriented films, dealing with crucial issues of life in India such as religious fundamentalism and casteism in India, nuclear nationalism and “unsustainable development”. Films such as Father, Son, and Holy War (1995), War and Peace (2002), Jai Bhim Comrade (2012), often banned by state channels, have become a subject of discussion on the topic of censorship. Patwardhan describes himself as a “non-serious human being forced by circumstances to make serious films”.